Sono gli effetti della pandemia e di una lunga crisi: le piccole e medie imprese reagiscono e si dotano di software a supporto del business. I risultati di una ricerca degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano con AssoSoftware e di una ricerca di Ipsos con Meta.
I cambiamenti imposti dalla pandemia hanno accelerato l’utilizzo di strumenti informatici e digitali sia a livello gestionale sia a livello commerciale per salvaguardare il business e garantire una continuità alle imprese. La ricerca del Politecnico di Milano con AssoSoftware ha coinvolto un campione di 514 pmi cross-settoriali e 158 Comuni, evidenziando un buon livello di diffusione dei software gestionali e, in alcuni campi, un trend di crescita rispetto all’anno scorso. I benefici principali nella gestione dei processi interni sono la capacità di prendere decisioni migliori perché più informate (76%), la disponibilità di dati sempre aggiornati in tempo reale (74%), il controllo sulle performance di processo (72%) e l’intervento tempestivo in caso di anomalie e cambiamenti.
I software gestionali più gettonati nelle pmi
Nel 2022 è aumentata la diffusione di moduli di Gestione documentale e workflow, che ha ormai raggiunto quasi una pmi su due (48%), con un +6% rispetto al 2021, probabilmente resi necessari dal cambio delle modalità di lavoro a seguito della pandemia. Secondo per crescita ma primo per diffusione, è il modulo di Gestione amministrativa e contabile, presente nell’87% delle imprese, con +4% rispetto al 2021.
È spesso il primo passo nell’adozione di soluzioni software e continua a consolidarsi, registrando comunque una crescita significativa anno su anno. Aumenta anche l’adozione dei software di Controllo di gestione (58%), con +3% rispetto al 2021, che orienta verso un approccio trasversale analitico e automatizzato a supporto delle decisioni.
Crescono, infine, leggermente (+1%) i software per la gestione del personale, che comunque sono adottati dal 61% delle pmi e per il Crm (42%), con +2%, che resta il meno diffuso, sottolineando uno scarso orientamento analitico alla gestione della relazione con il cliente e dei processi di vendita.
Restano invece stabili i livelli di diffusione dei moduli gestionali legati ai processi core di back-end: Logistica e magazzino (54%) e Approvvigionamento e produzione (50%), in cui gli impatti ricercati nel percorso di digitalizzazione su efficienza ed efficacia incidono direttamente sui risultati d’impresa.
«La pandemia ha fatto maturare una nuova consapevolezza nel Paese sull’importanza del digitale per le imprese di ogni settore. L’adozione di strumenti digitali a supporto dei processi è cresciuta, anzitutto per una risposta tattica all’emergenza, che ha portato le applicazioni a proliferare in poco tempo. Questo è evidenziato dalla crescita del business riscontrata dai produttori di software, che caratterizza un settore in buona salute nonostante gli anni di crisi pandemica», commenta Marina Natalucci, responsabile della ricerca sul software gestionale degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano.
«La maturità di utilizzo da parte delle organizzazioni è lievemente cresciuta, dopo una prima adozione contingenziale. Aziende e PA hanno avviato un percorso di consolidamento della tecnologia. Manca ancora però un vero commitment organizzativo alla revisione delle modalità di lavoro e una chiara visione strategica sul digitale, che faccia leva anche sui software gestionali».
Nel 2021, le aziende di software e servizi correlati hanno generato un fatturato di 51,3 miliardi di euro, in crescita del 14% rispetto a quanto registrato nel 2020. Le pmi e le grandi imprese rappresentano l’86% del mercato, per un totale di 44,2 miliardi di euro, mentre le microimprese arrivano a 7,1 miliardi. In particolare, le software house in ambito software gestionale, comparto con oltre 133.000 dipendenti, hanno generato un fatturato complessivo di 19,9 miliardi di euro nel 2021, in crescita del 16% rispetto al 2020.
Ancora limitata l’integrazione strategica dei software gestionali
Rispetto a un uso non ancora maturo dei software gestionali, che sia integrato e strategico per il business, solo un 9% di pmi sarebbero “avanzate”, in una percentuale stabile rispetto a 12 mesi fa, mentre si è dimezzata la quota parte agli inizi del percorso (dal 33% al 17% nel 2022), a favore di un numero maggiore di aziende che si trovano a metà del percorso, anche se con profili di maturità eterogenei.
Per esempio, oggi solo il 29% delle pmi indagate (neanche una su tre) ha integrato almeno in parte i software adottati. Se l’integrazione applicativa è ancora una sfida, c’è invece una maggiore attenzione a quella dei dati, con il 43% delle pmi che lavora con un repository unico per tutte le applicazioni e un ulteriore 30% che lo ha già introdotto, anche se solo per una parte dei software utilizzati. Resta più di un’azienda su quattro che lavora con strumenti completamente a silos, ciascuno con un repository dati differente, rischiando duplicazioni ed errori.
«La tecnologia è il primo passo per un cambiamento organizzativo più profondo: è necessario guardare ai software con un approccio strategico e integrato per ottenere flussi di lavoro più snelli e interconnessi, nonché supportare migliori decisioni grazie a dati corretti e sempre aggiornati. La maggiore adozione dei software gestionali è incoraggiante, ma il nostro tessuto di imprese e PA deve ancora maturare, abbattendo i freni culturali e costruendo competenze digitali. I vantaggi derivanti dall’uso di software gestionali sono comunque tangibili, lo dimostrano chiaramente i dati sulle performance che crescono a fronte di un aumento dell’adozione e dell’integrazione dei software», commenta Pierfrancesco Angeleri, presidente di AssoSoftware
Mancano cultura e competenze
Il freno principale verso un’adozione più estesa e interconnessa delle soluzioni gestionali è infatti di natura culturale. Resta stabile al 51% il numero di pmi con personale dedicato all’IT e al digitale. Il dato sale alla totalità del campione delle PA, aiutato però dall’obbligatorietà per ciascun ente di detenere un responsabile per la transizione digitale, ma solo il 35% del campione ha altro personale dedicato a supporto di questo ruolo.
Mancano infatti spesso le competenze e una visione strategica sul tema, mentre prevale un utilizzo puntuale di soluzioni per rispondere a esigenze tattiche o, nel caso del mondo pubblico, ad adempimenti normativi. Non è facile neppure misurare i benefici sulle performance operative a causa di un approccio poco strutturato. Tuttavia, le pmi avanzate registrano un indice di performance superiore di oltre il 65% rispetto alla media di mercato, grazie a un’adozione complessivamente più alta, a un’organizzazione più strutturata, ma soprattutto a un livello di integrazione significativamente più esteso.
«Enti e aziende dichiarano una mancanza di risorse finanziarie e competenze per poter accelerare: è necessario che tutto l’ecosistema, a partire dalle istituzioni fino agli attori del mercato, si muova in modo coordinato per favorire questo percorso, promuovendo piani di incentivazione e lavorando alla creazione delle competenze digitali nel Paese, ambito su cui l’Italia è particolarmente indietro rispetto al resto d’Europa», aggiunge Piermassimo Colombo, vicepresidente di AssoSoftware.
L’impatto dei social su vendite e business model delle pmi italiane
La recente indagine di Ipsos, svolta in 43 Paesi e commissionata da Meta (ex Facebook), ha analizzato l’impatto delle piattaforme digitali sulle pmi durante e dopo la pandemia. In particolare, il 22% delle pmi italiane dichiara di aver fatto cambiamenti sostanziali al proprio modello di business dopo la pandemia, con numeri più alti in Germania (30%), Sudafrica (43%), Nigeria (50%), Egitto (61%), dove la digitalizzazione corre più veloce.
La maggior parte delle pmi, che attualmente utilizzano strumenti digitali, hanno riferito che durante l’emergenza sanitaria le loro attività non avrebbero potuto rimanere aperte senza l’utilizzo di strumenti digitali, tra cui l’Italia (60%) a pari merito con Francia e Norvegia. Numerose anche quelle che, grazie al digitale, hanno adeguato il modello di business ai cambiamenti in corso: sono il 70% in Italia e Paesi Bassi, l’80% in Portogallo, l’83% in Arabia Saudita.
Una percentuale significativa ha segnalato che le piattaforme social sono state indispensabili per l’avvio delle proprie attività: in Italia il 59%, a pari merito con la Germania, mentre il 60% in Francia e in Irlanda, il 66% nei Paesi Bassi, il 53% nel Regno Unito. Per molte altre, le attività stesse oggi sono più forti grazie ai social: in Italia il 66%, in Polonia, Irlanda e Paesi Bassi il 75%, in Germania il 60%.
Grazie alla connessione digitale riescono a incrementare l’accesso a nuovi clienti (58% nel Regno Unito, 61% in Polonia, 72% in Portogallo, 64% negli Emirati Arabi Uniti), contribuendo alle vendite sia nel mercato interno (35% in Spagna, 36% nel Regno Unito, 43% in Portogallo, 56% in Sudafrica e 58% in Arabia Saudita), sia a quello esterno. In particolare, in Italia l’export cresce grazie ai social per il 21% delle pmi italiane, a pari merito con la Germania.
Infine, considerano app e strumenti di messaggistica un modo molto personale per collegarsi ai clienti: in Italia per l’80%, l’83% nel Regno Unito e l’85% in Spagna, mentre risulta un modo “molto importante” per il 77% in Irlanda, l’81% in Francia e Paesi Bassi, il 95% in Egitto.
«Siamo a un punto di svolta tecnologico. L’accelerazione digitale degli ultimi anni ha dimostrato alle aziende di tutte le dimensioni che si sono aperte nuove strade e nuove opportunità di crescita e che è necessario continuare a innovare per rimanere rilevanti e competitive», commenta Luca Colombo, Country Director di Meta in Italia. «Una volta pensavamo che l’economia tradizionale e l’economia digitale fossero entità separate. Ora sono indivisibili».